Il pericolo del Furano negli alimenti
Il furano e i 2 e 3 metilfurani sono composto chimici altamente volatili e lipofilici, incolore che contribuiscono in modo significativo ai valori sensoriali degli alimenti.
Il furano e i 2 e 3 metilfurani si formano naturalmente durante il trattamento termico degli alimenti, compresa la cottura, il furano in particolar modo si forma a seguito del riscaldamento di taluni alimenti e contribuisce al loro gusto finale (in conseguenza delle reazioni di Maillard).
Un esempio è il caffè (sia solubile che torrefatto che macinato) dove la formazione del furano avviene durante la tostatura del chicco, ed alcuni prodotti da forno. Altri prodotti soggetti a rischio di presenza di furano sono la birra, le zuppe pronte, le salse ed i succhi di frutta. Nei bambini con meno di 2 anni gli alimenti più critici per la presenza di furano sono i cibi in scatola per l’infanzia e le zuppe pronte.
Il caffè rappresenta la prima ragione di esposizione alimentare al furano (88%) a causa del suo processo produttivo.

Quali effetti sul consumatore
Alcuni studi scientifici, che riprenderemo nel corso dell’articolo, hanno dimostrato che l’esposizione a furano e metilfurani nei prodotti alimentari potrebbe essere la causa di possibili danni a lungo termine ad alcuni organi interni quali ad esempio il fegato, tali risultati sono emersi a seguito di studi condotti su cavie murine dove è stato dimostrato che furano rappresenta una sostanza attiva nello sviluppo di tumori con un meccanismo dose dipendente. Tuttavia ci sono diversi studi epidemiologici eseguiti sull’essere Umano dove l’associazione del consumo di caffè, come principali fonte di esposizione al furano dimostra una sensibile riduzione dell’incidenza di carcinoma epatico con valori massimi pari a -41% rispetto ai non bevitori.
Gli effetti dell’esposizione al furano sulla salute dell’uomo non sono però molto chiari. Infatti, se si considerano le sperimentazioni effettuate sui roditori, in cui il furano ad alte dosi causa tumori epatici, i risultati non trovano riscontro con gli studi epidemiologici sopra citati riguardo al consumo di caffè.
Gli studi effettuati dimostrano che la fascia di consumatori maggiormente più esposta, è rappresentato dai bambini a fronte del maggior consumo di alimenti pronti in scatola o in vasetto. Per le altre fasce di popolazione l’esposizione è legata soprattutto al consumo di caffè e alimenti a base di cereali, e varia a seconda dell’età e delle abitudini personali.
Fortunatamente per la maggior parte dei consumatori l’assunzione media di alimenti che possono o che contengono furano non rappresenta un significativo rischio per la salute (in Europa l’apporto alimentare complessivo di furano è mediamente 30-70 microgrammi/giorno). Nel caso però di consumi elevati di tali prodotti, ad esempio caffè torrefatto e macinato, il livello di rischio cresce fino a tre volte rispetto all’esposizione media.
In particolare i livelli di assunzione si rilevano molto più elevati se consideriamo il 2 e il 3-metilfurano, questi composti se ricercati nel caffè possono arrivare anche ad avere livelli fino a 4 volte superiori rispetto ai livelli di furano standard. A questo proposito l’ECF (European Coffee Federation) ha pubblicato nel 2010 uno studio sui livelli di furiano nei processi di tostatura, lo studio dimostra che il livello del composto varia in base a colore e tempo di tostatura, dimostra inoltre che il livello di furano diminuisce significativamente dalla tostatura al consumo della bevanda, fase in cui vi è la vera e propria assunzione da parte del consumatore.
L’assunzione quindi di una tazza di caffè, comporta un’assunzione di furano sensibilmente inferiore rispetto a quelli riscontrati nel caffè tostato e macinato. A fronte inoltre della volatilità del Furano, questo si riduce sensibilmente durante la preparazione della bevanda.
Il livello di furano infatti, diminuisce fino al 64% dopo l’agitazione in tazza per circa 30 secondi, ad esempio il mescolamento a seguito dell’aggiunta dello zucchero. Se poi lasciamo decantare in termos il caffè fino a circa 8 ore, il la presenza di furano cala del 98%. Infine come anche ricordato in uno studio dell’EFSA (dall’Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare) nel suo parere sulla sicurezza della caffeina, il consumo medio di 3-5 tazzine di caffè al giorno, rappresenta un fattore di prevenzione sufficiente e viene associata ad una serie di benefici fisiologici.
Le considerazioni riportate sono il frutto di valutazioni che l’EFSA ha effettuato monitorando i livelli di furano negli alimenti in rapporto all’esposizione dei consumatori. Riportiamo di seguito alcuni estratti delle pubblicazioni:
“Sulla base di studi su animali abbiamo concluso che i danni al fegato e il cancro al fegato sono gli effetti più gravi sulla salute” (dott.ssa Helle Knutsen, presidente del gruppo di esperti scientifici sui contaminanti nella catena alimentare).
“In che modo il furano possa causare il cancro negli animali non è ben chiaro. Dal momento che il gruppo di esperti non poteva escludere che ciò potrebbe essere dovuto a una diretta interazione con il DNA, non siamo stati in grado di fissare un limite di sicurezza, la cosiddetta dose giornaliera tollerabile. Abbiamo invece calcolato un margine di esposizione.” (dott.ssa Helle Knutsen).
Sulla base del concetto della prevenzione del rischio è probabile che EFSA abbia inizialmente sovrastimato il rischio per la salute del consumatore causato dal furano e dai furani in generale ma ad oggi non avendo dati certi a lungo periodo, questo approccio è sicuramente condiviso nella comunità scientifica. Alle stesse conclusioni è giunta l’Iarc, l’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro (http://publications.iarc.fr/566) che ha inserito il caffè in classe 3, ovvero “non classificabile come cancerogeno per l’uomo”.

Gli studi condotti
I primi studi sul furano risalgono al 2005 quando FDA (Food and Drug Administration – USA) iniziò a monitorare la presenza del composto negli alimenti trattati termicamente e per lo più della categoria degli alimenti in scatola.
I risultati portarono alla consapevolezza degli alti livelli di furano in taluni alimenti alimentando l’interesse da parte della comunità scientifica. Successivamente le ricerche si concentrarono sui precursori del furano cercando di replicare le normali condizioni industriali e/o domestiche di preparazione degli alimenti.
Gli esiti in questo caso indicarono una correlazione fra la presenza di acido ascorbico o acido oleico e linoleico e la quantità di furano formatosi negli alimenti. Di seguito i livelli di furano caratterizzati da FDA nei prodotti analizzati.
Dal 2007 e il 2009 i test sono proseguiti su 21 categorie di alimenti ed i dati sono stati raccolti sulla base dei criteri di LOD (limite di rilevabilità) fissato a 2 µg/kg e il LOQ (limite di quantificazione) pari a 5 µg/kg.
Negli ultimi anni (dal 2011) anche EFSA ha affrontato il problema della presenza di furano in determinati alimenti, andando a valutare e analizzare i dati raccolti in 20 paesi fra il 2004 e il 2010 considerando circa 21 categorie di prodotti alimentari di cui, 5 contenenti diverse di caffè proprio perché il caffè rappresenta una degli alimenti a più alta quantità di furano.
Anche l’Italia ha messo a disposizione alcuni dati raccolti dall’INRAN a fonte del progetto survey INRAN SCAI del 2005, cha ha raccolto dati su 3323 soggetti.
L’analisi dei dati condotta dalla commissione CONTAM dell’EFSA non è stata esente da problemi ed incertezze. In particolare nella valutazione sono stati spesso considerati gli intervalli di esposizione al furano, piuttosto che l’esposizione media del consumatore. Inoltre non sempre erano presenti molti dati per singola categoria di alimenti e questo ha inciso soprattutto sul calcolo della valutazione dell’esposizione sul consumatore.
Nonostante questi limiti, la Commissione ha richiesto di ampliare il range di alimenti da valutare includendo ad esempio anche le bevande. Nel 2010 la FAO e l’OMS a seguito della valutazione del rischio sull’impatto di furano verso i consumatori, e a seguito di alcuni studi condotti su cavie murine, ha concluso che il margine di esposizione indica una preoccupazione fondata sul composto come elemento potenzialmente cancerogeno e che potrebbe agire tramite un metabolita genotossico DNA-reattivo.
Gli studi condotti infatti hanno portato ad un aumento dell’insorgenza di tumori in soggetti esposti al consumo di prodotti con livelli di furano maggiori, rispetto a soggetti mantenuti nelle condizioni standard.
Ad oggi questi studi hanno condotto a delle stime dove la dose massima accettabile è di 2µg/kg di peso corporeo (quindi un soggetto di circa 70 kg ha una dose massima accettabile di 140 µg).

La normativa ed eventuali prospettive
Attualmente al livello UE il furano negli alimenti inteso come contaminante alimentare, non ha una norma verticale che ne determini i valori massimi.
Il solo atto ufficiale è la Raccomandazione n. 2007/196/CE Della Commissione del 28 marzo 2007 sul monitoraggio della presenza di furano negli alimenti, la quale sprona gli stati membri all’attivazione di un monitoraggio efficace dei livelli di furano nei prodotti alimentari sottoposti a trattamento termico nel corso degli anni 2007 e 2008.
Non essendo presente una regolamentazione unificata e soprattutto dei limiti critici stabiliti, un riferimento può essere visto nel Regolamento CEE n. 315/93 del Consiglio dell’8 febbraio 1993 che stabilisce procedure comunitarie relative ai contaminanti nei prodotti alimentari. Nel suo Articolo 2, il regolamento stabilisce che, ove necessario, siano stabilite le tolleranze massime per contaminanti specifici, questo ha portato nel 2006 alla pubblicazione del Regolamento (CE) n. 1881/2006 della Commissione dove però la quantità ammissibile di furano nei prodotti alimentari non è attualmente contemplato.
Quindi la sola fonte armonizzata a cui far riferimento è, ad oggi, il Regolamento CE n. 178/2002 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 28 gennaio2002 che stabilisce i principi e i requisiti generali della legislazione alimentare, istituisce l’Autorità europea per la sicurezza alimentare e fissa procedure nel campo della sicurezza alimentare. Tale norma nasce e opera a tutela della salute umana e degli interessi dei consumatori spingendo in tal senso a valutare ogni possibile rischio per garantirne appunta la salute. Sulla base di questo principio alcuni distributori internazionali della GDO e GD, hanno fissato nei propri capitolati tecnici, dei limiti specifici per categoria di prodotti, indicando di fatto una linea guida che potrà essere in futuro armonizzata a livello UE.
Come possiamo agire a tutela del consumatore
Non avendo a disposizione limiti armonizzati a livello UE la riduzione all’esposizione al furano rappresenta l’approccio più logico e tutelante nei confronti del consumatore.
Il furano ed i suoi derivati, si formano a fronte di processi di riscaldamento degli alimenti soprattutto per quelli a maggior concentrazione di vitamina C, carboidrati, amminoacidi, acidi grassi insaturi e i carotenoidi. Le condizioni di riscaldamento contribuiscono in modo significato all’innalzamento dei valori di furano ma questo composto essendo volatile tende a perdersi (principalmente per evaporazione) nelle fasi successive di raffreddamento dell’alimento. La modalità di cottura quindi potrebbe limitare la formazione di furano e di metilfurani.
Ad esempio, il riscaldamento dei cibi pronti per lattanti e bambini piccoli a bagnomaria senza coperchio contribuisce alla riduzione di formazione di furano e metilfurani di un 15-30% proprio a causa della sua volatilità. Nel caffè per esempio la bollitura del caffè utilizzata in Turchia o negli USA comporta una riduzione del furano residuo di circa 3-4 volte rispetto al caffè espresso.
Un altro esempio sono i prodotti da forno dove ad esempio la tostatura (soprattutto dei carboidrati) comporta un aumento dei livelli di furano e anche di acrilamide.
Conclusioni
Sia il furano, che i metilfurani che l’acrilamide sono potenziali cancerogeni per gli esseri umani se utilizzati in alta quantità e per un tempo di somministrazione costante, la loro origine è strettamente correlata alla cottura e/o alla lavorazione a caldo dei prodotti alimentari. Questi composti hanno fatto la loro comparsa sulla scena mondiale come importanti contaminanti alimentari negli ultimi 10 anni, avviando dei programmi di ricerca tutt’ora in corso nelle aree di tossicologia, esposizione, formazione e mitigazione.
Il risultato di queste scoperte, sui processori e sui regolatori alimentari nonché sui danni derivanti a lungo periodo sui soggetti esposti, non sarà chiaro fino a quando non saranno completate le ricerche ad oggi in corso dalle agenzie internazionali.

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Fonti e riferimenti per gli aggiornamenti:
Arisseto AP, Vicente E, Ueno MS, Tfouni SA, Toledo MC. (2011)
Bakhiya N, Appel KE. (2010)
Bravi F, Bosetti C, Tavani A, Gallus S, (2013)
Food Safety Magazine (2007)
Guenther H., Hoenicke K., Biesterveld S., Gerhard-Rieben E., Lantz I. (2010)
International Agency for Research on Cancer (2016)
Mesias M, Morales FJ (2014)
Moro S, Chipman JK, Wegener JW, Hamberger C, Dekant W, Mally A. (2012)
Von Tungeln L., Walker N., Olson G., Mendoza M., Felton R., Thorn B., Marques M., Pogribny I., Doerge D., Belanda F. (2017)
Informazioni sull’autore: Marco Valerio Francone
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